Storia geologica della Calabria

 
RENATO CRUCITTI
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Estratto da: Calabria Sconosciuta 
Riv di Cultura e Turismo
Anno V, n. 20 – RC Ott-Dic 1982
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La nostra storia potrebbe benissimo iniziare

con un: "c'era una volta...", perchè quanto segue

ha un che di inverosimile, quasi un sapore di

fiaba. E' la classica realtà romanzesca che

supera anche la più fervida immaginazione.

Procedendo però nel racconto, ci si accorgerà di

quanto naturali siano le cose che, pur

sensazionali e talvolta incomprensibili alla

nostra ottica limitata, hanno tuttavia una loro

ragion d'essere nei meravigliosi disegni della

Natura.

Pare scontato che « una volta », parecchie

centinaia di milioni di anni fa, le terre emerse e

i mari, dalle nostre parti e nel resto del mondo,

avevano un aspetto molto dissimile da quello di

oggi. Ma ai più sfuggono i particolari di quelle

sembianze: come dovevano essere ?

E' quanto andremo proponendo qui di seguito.

Osservando oggi la Calabria su di una carta

geografica, balza subito all'occhio non solo la

sua forma stretta ed allungata -che pure

qualcuno ebbe a definire «penisola di penisola»

e qualche altro felicemente aggiunse: «tutt'osso

e pochissima polpa» - ma anche che essa è

costituita da tre rigonfiamenti montuosi (la Sila,

le Serre e l'Aspromonte) separati da altrettante

strozzature piane, rappresentate dalla Valle del

Crati, l'Istmo di Catanzaro e la Piana di Gioia

Tauro.

Quanto è oggi nella realtà umana, storica e

culturale di questa regione, discende da un fatto

che la Natura ha come voluto sottolineare: ha

creato queste tre «isole», smembrandole ed

interrompendone la continuità.

E' anche abbastanza noto come i nuclei della

Sila, delle Serre e dell'Aspromonte, cristallini,

"granitici" in senso lato, costituiscano zone fra

le più antiche della penisola italiana, emerse dal

mare, assieme a poche altre (la catena dei

Peloritani in Sicilia, il Massiccio Sardo-Corso e

nelle Alpi, il Monte Bianco e il Monte Rosa),

quando il resto del «Bel Paese» era ancora

sommerso.

Meno nota è invece la gestazione in seno alla

terra di questo territorio le cui radici possono

essere fatte risalire ad almeno 280 milioni di

anni fa, verso la fine dell'Era Primaria. Inoltre

studi recenti confutano le tesi immobiliste dei

geologi di vecchia scuola, secondo le quali le

coltri cristalline calabresi si sarebbero formate

in loco.

La Montagna calabrese vede la sua origine in

seno al continente africano e si sarebbe

innalzata unitamente alle Alpi, delle quali

rappresenta un frammento. Difatti, intorno agli

anni '60 di questo secolo ed a partire da tale

data, una rivoluzionaria teoria -la tettonica a

zolle- permette tutta una serie di moderne

interpretazioni che investono di nuova luce

epoche remotissime, consentendo di spiegare

come l'arco calabro-peloritano costituisca

l'estrema propaggine meridionale della catena

alpina.

Sarebbe a dire che, intorno a 100 milioni di

anni fa, dall'odierno Colle di Cadibona in

Liguria, le Alpi si stendevano fino a noi e nei

Peloritani in Sicilia. Il vechio motto che in

certe plaghe montane, vede la Calabria come la

Svizzera d'Italia, trova qui la sua conferma più

verosimile !

Le moderne teorie di cui sopra riguardano

anche il modo di formarsi di queste rocce, la

loro provenienza ed il loro assetto. Vi siete mai

accorti, a questo proposito che, contrariamente

al solito, qui in Calabria, le rocce più antiche

spesso sono anche le più superficiali e

sovrastano strati più recenti ?

Questa giacitura anomala, inversa rispetto a

quella che si suole normalmente incontrare, ha

attirato l'attenzione degli studiosi sin dalla fine

del seclo scorso. Ma fino ai nostri giorni, non

venivano fornite plausibili giustificazioni. Le

interpretazioni attuali vedono i «noccioli» delle

montagne calabresi, cristallini e grandemente

metamorfosati, come provenienti da tutta una

serie di lacerazioni e collisioni dovute ai

movimenti crostali (« deriva dei continenti »)

delle placche europea e africana, alle quali

appartengono.

Allontanamenti ed avvicinamenti scambievoli

che nel tempo, hanno causato fasi alterne di

distensione e di compressione.

Nel primo caso, magmi profondi risalivano

dalle viscere della Terra, talvolta esplodendo in

manifestazioni vulcaniche, tal'altra e più spesso,

restando prigionieri, intrusi fra le rocce

circostanti, senza sboccare in superficie,

formando così i grossi ammassi (plutoniti e

batoliti) dei rilievi calabresi.

Nelle fasi compressive di avvicinamento, tali

rocce venivano «strizzate» dallo spostamento

delle due zolle continentali e così , in parte si

alteravano, perdendo la fisionomì a originaria e

quel che più importa, cambiavano di posto,

accavallandosi le une sulle altre. Ne hanno

passate di tutti i colori insomma, strette

com'erano tra l'incudine -l'Europa- ed il

martello -l'Africa !!!

Poi, a complicare le cose, ci si è messo anche

l'Atlantico che, proprio in quei giorni, ha voluto

partecipare alla sarabanda, anzi ne è stato

l'artefice primo: i suoi fondali hanno preso ad

allargarsi, distanziando sempre di più le due

Americhe dal Vecchio Mondo, con ritmi e

velocità diverse, come vedremo più avanti ed i

cui contraccolpi, hanno avuto ripercussioni nel

punto di sutura fra l'Africa e l'Europa.

Chi ci è andato di mezzo è stata proprio la

primitiva, futura Calabria. I suoi embrioni

rocciosi sono stati sballottati, squassati,

frantumati e trasportati alla stessa stregua di un

ricciolo di terra sospinto da un potente

escavatore.

Parlare di tutta quest'iradiddio però è come

voler afferrare, ad una ad una, le ciliegie da un

vassoio: quando pensi di averne presa una, le

tiri fuori tutte contemporaneamente. Sono tali e

tanti gli argomenti connessi e così intimamente

collegati, che è estremamente difficile non

complicare le cose senza coinvolgere fatti e

fenomeni anch'essi di marcato rilievo.

Si dovrebbe parlare del ProtoAtlantico e della

deriva dei continenti, della formazione della

Tetide e della nascita del Mediterraneo e così di

seguito, in un crescendo incalzante.

Qui, per non cadere in considerazioni di

difficile comunicativa, trascureremo questi fatti

in dettaglio, limitandoci a citarli solo nelle

grandi linee, per meglio spiegare le fasi della

formazione geologica della Calabria. Per tutto

il resto, rimandiamo il lettore -se lo intende- a

testi più specializzati.

 

I PRIMORDI

 

Come dal seme nascosto sotterra, nascono

germogli che si fanno strada fra le zolle

sconvolte dall'aratro, analogamente le rocce

calabresi, a spinte e a gomitate, si fecero largo

fra le zolle europea ed africana, circa 280

milioni di anni fa.

A quel tempo, il panorama apocalittico della

creazione si era alquanto attenuato; il primitivo

oceano di silicati fusi si era già consolidato,

formando in superficie una crosta (litosfera) che

comprendeva le terre emerse, non ancora

suddivise in zolle, ma raggruppate in un unico

megacontinente, la Pangea, circondato da un

immenso oceano, la Pantalassa.

Le primitive Europa ed Africa erano pertanto

a stretto contatto di gomito e, almeno

apparentemente, nulla avrebbe potuto mutare

tale situazione chè, in superficie, la calma

regnava sovrana. Ma giù in profondità, nella

crosta terrestre, proprio sotto il punto di

giunzione, qualcosa fermentava.

I « bigs » dello spettacolo fremono a

rimanere dietro le quinte e anelano il momento

degli applausi; così la Calabria ambiva il posto

di primadonna. Era giunto a suo dire, il

momento di affacciarsi alla ribalta.

Nella litosfera, immense, ribollenti colate

magmatiche cercavano sfogo in superficie, ma

Europa ed Africa, «vedettes» del momento,

non cedevano. Non una breccia nei loro cuori,

non un varco che facesse spazio alle insistenze

pressanti degli embrioni calabresi. Pertanto

queste enormi intrusioni, escluse dalla scena, si

andavano accumulando e raffreddando in basso,

nel soppalco.

Quand'ecco intervenire il fatto nuovo, il "deus

ex machina" che risolse d'autorità la situazione.

Fu l'orogenesi ercinica che dilaniò la crosta

superficiale, scotendo e sollevando catene di

monti.

Per avere un'idea dell'accaduto, basti pensare

alla crosta gelata di uno specchio d'acqua: lo

strato superficiale di ghiaccio, tormentato dal

vento, ma vieppiù sollecitato in basso dalle

correnti e dal moto ondoso, si fessura, si

trascina e si accavalla in mille pezzi che,

collidendo fra loro, danno origine al «pack»,

l'ammasso caotico della banchisa polare.

In tal modo i litiganti furono costretti a

cedere: incrinati e lacerati in diversi pezzi,

divaricarono, permettendo così al cuore delle

montagne calabresi di venire allo scoperto.

A Mangiatorella infatti, presso lo spartiacque

delle Serre, tra Stilo e Serra S.Bruno, sono state

rinvenute e datate delle rocce intrusive

(granodioriti) la cui età di formazione risale a

264 € 14 milioni di anni fa (FERRARA &

LONGINELLI, 1961), per non parlare delle

pegmatiti di Delianova o delle quarzodioriti di

Copanello.

Queste rocce si trovano un po' dappertutto in

calabria, in grossi ammassi deformati

platicamente dalle forze di collisione e di

risalita e messi a nudo dall'erosione.

Sul finire dell'era, nell'area occupata oggi

dalla nostra penisola, il paesaggio molto

probabilmente era quindi costituito da libero

mare. Dal suo fondale, per il corrugamento

ercinico, le cime di questi massicci emergevano

come isolotti, a mò di arcipelago.

 

ERA MESOZOICA O SECONDARIA

(da 225 a circa 65 milioni di anni fa)

 

Nel secondo atto, gli isolotti calabresi,

soddisfatti ma esausti dal lungo precedente

travaglio, pensarono di godersi un periodo di

meritato riposo.

Ma avevano fatto i conti senza l'oste !

Se fino ad allora erano stati arbitri delle

proprie decisioni, da questo momento la

situazione sfuggì loro di mano. Lo svolgersi

successivo degli avvenimenti calabresi fu

condizionato dall' ingresso sulla scena di altri

importanti comprimari.

Il megacontinente Pangea si suddivise in due

masse più piccole: la Laurasia, a nord e il

Gondwana, a sud. Nella frattura fra i due,

pressapoco nella zona equatoriale, si insinuò un

vasto oceano caldo -la Tetide o Mare Mesogeoche,

milioni di anni più tardi, tanta parte

avrebbe avuto nelle vicende del "Mare

Nostrum" e delle zone limitrofe.

In seguito a questo evento importantissimo,

sia per le natalità biologiche che ne seguirono,

sia per le vicende che le travagliarono, la zolla

crostale in cui si trovava l'arcipelago calabrese,

si divise in due parti che divorziarono,

allontanandosi l'una dall'altra.

Buona parte degli isolotti rimase nel

frammento meridionale, nel continente

africano, l'altra parte, piccola in verità, che

sentiva di avere vocazione europea, si addossò

alla zolla settentrionale, all'Eurasia.

Nulla di nuovo sotto il sole ! I dissidenti ci

sono sempre stati e sempre ci saranno !

In un primo tempo, circa 200 milioni di anni

fa, la separazione non era molto pronunciata,

cosicchè il mare era ancora interno, costiero,

dai bassi fondali, costellato di isole vulcaniche

e di atolli corallini.

Lambiva però oltre 10.000 km di coste, con

tutti i caratteri delle attuali calde spiagge dei

tropici.

Le « rive calabresi », ora archi insulari

costieri dell'Europa e dell'Africa, tanto a nord,

come a sud, si godevano le ferie dedicandosi

alla balneo- ed alla elioterapia.

Come si stava bene ! Per circa 150 milioni di

anni fu il tempo del « latte e del miele ».

Ma dovunque per il mondo fu un tempo di

clima mite senza pari. Si diffusero così , nei

mari, le scogliere coralline e su tutte le terre

emerse, le Araucarie e i Dinosauri. Dappertutto

pullulava la vita con forme esuberanti. Sui

fondali poterono accumularsi così notevoli

depositi di avanzi organici di coralli,

madrepore, molluschi, echinodermi ecc.

Ma la pacchia finì presto, almeno per la

Calabria, chè nell'arengo, prese posto un altro

importante personaggio.

Lo squarcio della Tetide aveva suscitato

l'invidia dell'Atlantico che, circa 150 milioni di

anni fa, prese ad allargarsi pur esso.

Quasi una dimostrazione a quella presuntuosa

della Tetide che non ci voleva poi molta abilità

a provocare benefici mutamenti del clima.

Poteva pure smetterla di strusciarsi con i

continenti facendo la smorfiosa. D'ora in poi,

anche le sue acque avrebbero accarezzato le

terre emerse con benefici effetti !

Dapprima si squarciò il fondale dell'Atlantico

meridionale e l'Africa, sospinta verso est,

sorpassò l'Europa che rimase indietro di molte

centinaia di km e gli isolotti calabresi furono

ancora di più isolati.

Separati da un oceano (la Tetide) divenuto

largo e profondo, intristivano in solitudine,

godendo solo della compagnia di stuoli di

ammoniti -(molluschi ai quali gli uomini di

scienza danno particolare importanza)-

abbondantissimi nelle acque mesozoiche.

Più tardi, sul finire dell'era, nel Cretaceo

inferiore, circa 120-130 milioni di anni fa, mal

sopportando la lontananza, cercarono di

ricongiungersi. Ma male gliene incolse, chè

affogarono miseramente.

Era successo che le due zolle crostali, europea

ed africana, alle quali appartenevano, non

avevano gradito una così marcata separazione.

Avevano preso a recriminare il bel tempo felice

quando, amiche per la pelle, vivevano a stretto

contatto di gomito e quanto meno, erano

sempre l'una in vista dell'altra.

Per questa e per altre considerazioni, vollero

riavvicinarsi e così l'Europa corse dietro

all'Africa nel suo movimento verso est.

Bisogna però precisare che gli « spintoni »

dati a destra e a manca, alla ricerca di uno

spazio vitale (come su un autobus sovraffollato,

nell'ora di punta), partivano sempre da quel

benedetto Atlantico.

V'è anche da aggiungere che il fondale

dell'Atlantico settentrionale ci aveva ripensato

e, con uno scatto tardivo, s'era messo in moto

pure lui. Si era squarciato come la sua porzione

meridionale e, volendo recuperare a tutti i costi,

aveva preso ad espandersi a gran velocità.

L'Europa, rimasta indietro, raggiunse di gran

carriera l'Africa e quasi la superò. Di

conseguenza la Tetide rimase stritolata in una

morsa gigantesca fra i due continenti. Le sue

acque, già increspate da tiepide brezze tropicali,

generarono violenti marosi che si abbatterono

così sulle terre emerse circostanti.

Gli isolotti calabresi della vecchia catena

ercinica , di piccola statura, non ressero all'urto

e smantellati, perirono fra i flutti. Furono

restituiti al mare, dove i materiali demoliti

divennero parte integrante del fondale,

riducendosi a « pavimento» oceanico.

Per una decina di milioni di anni la Calabria

rimase obliterata, quasi un'espiazione per aver

commesso peccato di alterigia. La tremenda

pressione sembrava accanirsi anche sul più

piccolo relitto: non doveva restarne nemmeno il

ricordo !

Neppure ridotta al rango di crosta oceanica

ebbe però pace. La gran parte di esso fu

obbligata a «scivolare », a scomparire sotto la

crosta continentale europea.

Ma "mens agitat molem" con lucido disegno !

Nei progetti della Natura, un intervento

provvidenziale, come in una catarsi, rinnovò

questa terra, facendola riapparire, sotto diversa

forma, più bella di prima.

Perdurando implacabile la morsa, in un

crescendo parossistico, per l'enorme

raccorciamento, si corrugò la parte frontale del

continente africano assieme a quello che

rimaneva del pavimento oceanico e fu così che

le rocce calabresi videro nuovamente la luce.

 

ERA CENOZOICA O TERZIARIA

(da 65, fino a circa 2 milioni di anni fa)

 

Il "clou" dello spettacolo si manifesta in

quest'era: nel corso dello scontro, l'orogenesi

toccò il suo culmine (corrugamento alpinohimalaiano).

I margini delle due zolle, europea ed africana,

venute a contatto, per effetto dello

schiacciamento, si frammentarono, si

metamorfizzarono e si dislocarono gli uni sugli

altri, ponendosi in punti diversi da quelli della

loro formazione.

La collisione causò quindi la formazione della

prima catena alpina, della quale la Calabria,

minuscolo frammento, rappresenta la punta

avanzata, costituita da rocce che facevano parte

del continente africano.

In particolare, intorno a 40 milioni di anni

fa, nell'Eocene superiore, il fronte settentrionale

della zolla africana, come un foglio di

compensato, si «scollò», sfaldandosi

letteralmente in due strati. La «pelle»

raggrinzita, si accavallò sul bordo meridionale

dell'Europa, accartocciandolo. Lo strato

inferiore invece, fu costretto a sprofondare nelle

viscere della terra, passando sotto (subduzione)

la zolla europea. Vennero così allo scoperto

rocce antichissime del continente europeo e

soprattutto, di quello africano, assieme a lembi

dello scomparso fondo oceanico della vecchia

Tetide.

Queste rocce si ritrovano oggi a Gimigliano, a

Serrastretta, a S.Giovanni in Fiore e sul lago di

Cecita ed ancora a Soverato, a Copanello, a

Cardinale, a Capo Vaticano ecc.

Ma il marasma generò "rugosità" diffuse un

po' dovunque.

Non dimentichiamo che i punti di contatto fra

l'Europa e l'Africa erano enormemente

sconvolti.

Per l'urto immane si produssero forze di

compressione e di risalita, le cui manifestazioni

più evidenti, oltre che in Calabria e nella catena

alpina, si possono osservare nella catena

d'Atlante in Africa, nella Cordigliera Betica e

nei Pirenei in Spagna, nei Balcani, nei Carpazi

e nel Caucaso.

Insomma, tanto ad est, quanto ad ovest,

rimasero cicatrici profonde della terribile

morsa.

La Tetide, circondata, chiusa, fu obliterata,

ma ne restò il ricordo nei bacini relitti del Mar

Nero, del Mar Caspio, del lago d'Aral, del

Golfo Persico e del Mediterraneo, che è poi, la

«pozzanghera» più grande di tutti.

Anche i grandi edifici rocciosi -come ad

esempio le Dolomiti- attestano il ricordo della

Tetide tropicale, con i suoi coralli, le sue

ammoniti e i suoi grossi molluschi bivalvi,

portati oggi a grandi altezze, a svettar su

maestose cime.

Non c'è che dire, proprio un bello sconquasso!

La Calabria comunque, non si "agitava" più da

sola; si trovava anzi, in numerosa, buona

compagnia !

Intendiamoci, il processo avvenne

gradatamente e, come vedremo più avanti,

ancor oggi non si può dire che sia del tutto

concluso. Esaurito il primo slancio, la

compressione si andò attenuando, intorno a 30

milioni di anni fa. Nell'Oligocene anzi, si estese

anche ad altre zone, del neonato mare

Mediterraneo, apportando nuovo materiale che,

in Calabria, si dispose al margine sud-orientale

dell'arcipelago.

Ciò contribuì non poco ad ingrandire e ad

innalzare le già cospicue vette.

Contemporaneamente, altrove, andavano

sorgendo gli abbozzi appenninici, ma questo è

un altro discorso.

Circa 15 milioni di anni fa (Miocene

inferiore), il parossisma quasi terminò e la

Calabria vide le sue isole divenire sempre più

estese, anche se ancora smembrate e separate da

canali. Il loro ricongiungimento avvenne

intorno a 10-12 milioni di anni fa. In quel

tempo nel Mediterraneo, gli ultimi spasmi della

compressione, formarono nuovi accumuli di

materiale roccioso.

Nel contempo, la Sardegna e la Corsica,

separatesi dalla costa provenzale, con decisione

si dierssero verso est. Come una pala gigantesca

spinsero dinanzi a sè gli accumuli incontrati,

costringendoli ad emergere dal mare. (Secondo

alcuni autori -non unanimi del resto - così

avrebbe avuto origine la Tirrenide).

Furono così messi allo scoperto nuclei

cristallini antichi che, senza soluzione di

continuità, affratellarono le cime granitiche

calabresi alle Alpi. Quasi un ponte, una mano

tesa da nord a sud, a riunire in un'unica terra,

imponenti masse montuose, simili fra loro per

età e costituzione litologica.

Ininterrottamente questi gruppi si estendevano

dalla catena alpina, attraverso l'Appennino

ligure, fino ai monti dell'Africa settentrionale

(Cabilia).

Le "Alpi calabresi" pertanto si trovarono

accomunate ai Peloritani in Sicilia e ai poderosi

massicci granitici della Sardegna, della Corsica,

delle Baleari ecc.

Più tardi, circa 6 milioni di anni fa, verso la

fine del Miocene, la risultante delle due spinte

congiunte, da ovest e da sud, modificò la

situazione.

Tutto il quadro di cui sopra fu costertto a

ruotare in senso antiorario come l'asta di un

gigantesco pendolo. Di conseguenza, gran parte

di esso, non resse allo sforzo. Distorto, si

frantumò e in gran parte sprofondò: il suo posto

fu occupato dal mare.

Come al solito, la zona di massima

compressione era ubicata dalle nostre parti, in

corrispondenza dell'arco calabro-peloritano.

Fortunatamente (o fortunosamente ?) era già

abbastanza cresciuto e si era tanto consolidato,

da sopportare, stavolta senza troppi danni,

scossoni così violenti. Il risultato fu che i

massicci granitici calabresi, disgiunti dal resto

della «catena alpina» cristallina, furono

accavallati sugli Appennini.

Trasportati passivamente sul loro dorso, ne

assecondarono il movimento verso oriente in

conseguenza dell'apertura del mar Tirreno.

Ecco quindi che si spiegano benissimo:

· l'alloctonì a delle coltri "cristalline"

calabresi: esse non si sono originate, là dove le

vediamo oggi, ma provengono da zone diverse,

nelle quali si sono formate e dalle quali si sono

traslate per effetto dei movimenti tettonici;

· la diversità di tali rocce rispetto a quelle del

viciniore appennino e come la sua apparente

continuità, ne sia bruscamente interrotta per la

differente costituzione geo-litologica delle

"Alpi calabresi";

· la giacitura anomala, inversa rispetto a... (v.

Introduzione); per cui il nocciolo antico e

cristallino delle montagne calabresi, sovrasta

strati più recenti e di natura sedimentaria.

Nel Pliocene, ultimo periodo dell'era in

questione, circa 4 milioni di anni fa, emersero

ulteriori estese porzioni di territorio, formando

e raccordando fra loro nuove colline e

montagne, la cui distribuzione, pur con qualche

sensibile differenza, siavvicina all'attuale.

Siamo così arrivati ai giorni nostri, all'epoca

che ancor oggi stiamo vivendo: l'Era

Quaternaria.

 

ERA NEOZOICA O QUATERNARIA

( da 1,8 milioni di anni fa ad oggi)

 

E finalmente venne la quiete dopo la

tempesta, ma solo in apparenza, chè il lavorìo

della Natura non conosce soste. Fu il momento

delle «rifiniture», quasi il tocco da maestro su

di un'opera d'arte che sta per essere ultimata.

Bisognava, d'altronde, preparare la dimora per

un nuovo importante inquilino: l'Uomo!

Appena uscita dal mare, la superficie della

nuova Calabria cominciò ad essere intaccata

dall'erosione operata dagli agenti atmosferici e,

soprattutto, dalle acque. Queste, scorrendo

abbondanti, rapide e selvagge sui declivi,

incidevano solchi e, via via, li approfondivano.

Si trascinavano via grandi quantità di

materiali detritici che abbandonavano i rilievi,

addolcendoli e si depositavano ai margini di

essi.

Le cime venivano così progressivamente

smantellate ed i grandi ammassi rocciosi si

frazionavano in creste e valli. In basso, sulle

orlature, si andavano stendendo le pianeggianti

cimose costiere alluvionali, formate da vario

ciottolame e sabbia, che raccordavano ed

ingrandivano ulteriormente il ben consolidato

arcipelago.

Si colmavano tutte le asperità e si riempivano

tutte le «fessure», canali, seni e golfi,

conferendo al territorio unità e fisionomì a

precisa.

Par di vedere all'opera uno stuolo di

imbianchini che stende strati di intonaco e di

vernice !!!

La compressione africana d'altro canto, non si

era ancora esaurita del tutto. Sia pure in

maniera molto più discreta -anche perchè si era

già sfogata abbastanza- la zolla europea non

cessava di essere pressata, confricata, specie in

quel suo avamposto costituito dalla Calabria.

Come negli ultimi fremiti di un morente, si

verificarono scossoni di assestamento che,

succedutisi a più riprese, portarono allo

scoperto le antiche piattaforme costiere.

Tali moti di emersione furono tanto lenti e

progressivi che gli agenti esogeni ebbero modo

di plasmare e levigare i massicci sino a lasciarvi

tracce evidenti sotto forma di colline

tondeggianti e gradini nelle valli. Magnifici

esempi si possono osservare nella Sila, nello

sperone nord-orientale di Capo Vaticano e nel

settore nord-occidentale dell'Aspromonte.

Tutto il massiccio calabrese in genere, ha la

forma di un'immensa cupola, spianata in alto

dalle forze erosive ed incisa a ventaglio sui

fianchi, dall'alveo di numerose fiumare. Ma è

l'Aspromonte in particolare, che reca impressi

ai lati, i segni di ampie scalinate. Intendo

parlare dei numerosi terrazzamenti di chiara

origine marina, di cui la Montagna calabrese,

giustamente mena vanto.

Questi livelli di abrasione marina

rappresentano momenti di soste nel lento moto

di emersione che ha «cristallizzato» le antiche

spiagge. I gradini più alti (che vengono indicati

con il nome di Piani), si trovano oggi a quote

superiori ai 1000 metri; quelli più bassi (detti

Campi), degradano da così rispettabili altezze,

quasi a ridosso del mare.

Ciò basterebbe a dimostrare, se ce ne fosse

bisogno, quali forze titaniche siano entrate in

gioco, per provocare un così cospicuo

innalzamento. Si ritiene infatti che "per il forte

sollevamento del massiccio calabro-siculo, non

solo il canale di separazione fra l'Aspromonte

ed i Peloritani (Stretto di Messina) si ridusse

nelle condizioni attuali, ma potè addirittura

scomparire e permettere un temporaneo

collegamento post-terziario fra l'isola ed il

continente".

[da CUSCANI-POLITI - Geogr.Gen. -Garzanti

Edit. 1973].

 

Successive complicazioni orogenetiche e

movimenti glacio-eustatici cancellarono tale

probabile collegamento che fu sommerso dal

mare. Ma non è ancora finita: il moto di

emersione continua anche ai nostri giorni

(PATA 1954) ed i cui parossismi che

periodicamente si manifestano, «certamente

costituiscono una delle cause dei molteplici

dissesti che funestano le regioni dell'Italia

Meridionale» (IPPOLITO, 1955).

 

Purtroppo a noi non è dato conoscere "cosa

c'è dietro l'angolo" di questa fantastica e

indomabile terra.

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[le immagini sono tratte da: “L’evoluzione geologica della Calabria nel quadro del Mediterraneo occidentale” di E. TURCO apparso su “Sviluppo”- Rivista di Studi e Ricerche della CARICAL n.58, genn-marzo 1989 – COSENZA]

 

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Naturalia rencru44@gmail.com