
Elementi di Geodinamica calabrese
(relazione tenuta nell'anno accademico 1995-96, come "cultore della materia", per la cattedra di "Ecologia Applicata" presso la facoltà di Architettura dell'Università degli Studi "Mediterranea" di Reggio Calabria)
E’ risaputo che il territorio calabrese è "ad alto rischio sismico" per i molteplici eventi che nel corso dei secoli l’hanno flagellato a più riprese con spaventosa virulenza. Ma i sismi, non sono le sole manifestazioni della Natura a caratterizzare questa regione, anche altri fenomeni, meno appariscenti e forse meno noti ai più, hanno concorso e concorrono a fare della nostra, "una terra ballerina".
Le vicende tettoniche, peraltro abbastanza note agli specialisti, vengono però spesso presentate, per comodità di studio e di esposizione, come fenomeni settoriali, a sè stanti, per tutta una serie di motivi, fra i quali, l’intima necessità, propria dell’uomo, di dipanare la matassa degli accadimenti naturali, inquadrando ed estrapolando dati da un unico contesto. E se da un punto di vista schiettamente antropico, questi eventi sono forieri di morte e distruzione, essi vanno valutati positivamente nell’economia della Natura. Il nostro pianeta è stato definito "vivente" da chi ha voluto evidenziare soprattutto la ricchezza di organismi che esso accoglie, ma esso è tale anche perché è in grado di evolversi, di rinnovarsi senza sosta e di mutare continuamente aspetto.
Nelle sue viscere pulsano forze capaci di rimescolarne l’intima natura e l’eco di questo lavorìo, pervenuto in superficie, vi apporta profonde modificazioni. A questo dinamismo, a questi agenti endogeni, fa da contraltare la dinamica esogena con altre forze, pure esse protese a generare stravolgimenti e diversità, in un gioco di perenne simmetria.
D’altronde, tutta la storia dell’Universo si può considerare come un incessante processo di creazione di varietà e il nostro stesso pianeta è un prodotto di questa diversificazione, tanto che siamo abituati a considerarlo come un insieme di sfere concentriche, ben distinte fra loro per costituzione, struttura ed estensione, delle quali abbiamo esperienza diretta, vitale, quotidiana.
Ci sono la sfera dell’aria (atmosfera), la sfera delle acque (idrosfera) e la sfera della terra (litosfera), tutte in una situazione di mirabile, armonico equilibrio fra loro, che ha permesso l’insediamento della vita. Si è così costituita un’ulteriore sfera che potremmo chiamare, sensu strictu, biosfera che, non solo con la sua presenza, straordinariamente ricca di forme, ha recato ulteriori diversità, ma anche perché ha indotto profonde modificazioni nelle altre sfere, già in precedenza differenziate.
Ma, in tal modo, si sono modificate anche le frontiere, le interfacce fra le diversità, cioè i luoghi dove sono contrapposte situazioni fisiche e biologiche vivacemente contrastanti, anzi in perpetuo antagonismo.
In questi ambienti critici, instabili, continuamente soggetti ad un dinamismo costruttivo, ancor oggi si addensano i più grandi interrogativi di tutte le scienze. In queste zone di " transizione" si sono verificate e di certo continuano a verificarsi, eventi decisivi per il divenire del mondo, per il procedere dell’ evoluzione della materia e della vita.
La più straordinaria e spettacolare di queste frontiere è certamente quella dove si oppongono gli oceani ai continenti: le coste, dove i mari e le terre emerse si fronteggiano e dove i movimenti relativi degli uni e degli altri, hanno contribuito al loro modellamento. Quando ci affacciamo in riva relativi degli uni e degli altri, hanno contribuito al loro modellamento. Quando ci affacciamo in riva al mare e sostiamo ad ammirare i vari paesaggi costieri, siamo come sopraffatti da una emozione profonda quasi assistessimo all’incontro ed allo scontro fra gigantesche realtà della natura e non dobbiamo quindi meravigliarci che gli antichi le personificassero come deità ultrapotenti che avevano presieduto alla nascita del mondo.
La linea di costa è anche il sito più adatto per rendersi conto, su una scala del tempo a dimensione umana, dei cambiamenti geomorfologici in atto in un territorio. Mutamenti estremamente rapidi, a volte anche preoccupanti, che possiamo constatare personalmente, compiendo delle passeggiate, o meglio ancora, confrontando l’aspetto che qualche zona litorale aveva in documenti cartografici antichi o recenti ed in vecchie fotografie e cartoline, con quello che vediamo nelle stesse zone, magari visitandole più volte a distanza di alcuni anni.
I litorali calabresi (ma il discorso può valere per l’intero profilo costiero d’Italia), con il loro sviluppo lineare complessivo di circa 800 km, presentano morfologia estremamente varia: coste rocciose più o meno alte, sul versante tirrenico, mentre vere e proprie spiagge sabbiose si stendono dal lato ionico. Ugualmente varie e complesse sono le loro tendenze evolutive, condizionate da diverse cause naturali e da una vasta gamma di fattori locali, il più delle volte legati agli intensi processi di antropizzazione in atto negli ultimi decenni. Le variazioni più marcate e preoccupanti si registrano lungo le spiagge: la loro erosione produce frequentemente danni notevoli a strade, ferrovie ed altre opere umane; inoltre comporta il depauperamento o addirittura la perdita di un grosso capitale per il turismo, che è uno dei pochi settori economici attivi del nostro Paese.
Ma anche, al contrario, gli eccessivi accrescimenti possono creare situazioni di crisi, come l’interramento di porti, l’ostruzione di foci fluviali per il formarsi di barre, l’eccessivo allontanamento verso il mare della linea di battigia, ecc.
Fra le cause naturali che determinano la dinamica dei litorali, accanto ai fenomeni orogenetici (che in tempi molto lunghi provocano la nascita di nuove catene montuose e quindi l’ampliamento delle terre emerse) ed ai fenomeni isostatici (che pure sono piuttosto lenti), figurano innanzitutto: le oscillazioni eustatiche del livello marino, le oscillazioni del suolo legate a fenomeni vulcanici (bradisismi) e la subsidenza delle aree costiere.
La subsidenza interessa l’abbassamento del suolo, il che equivale ad un innalzamento del livello marino. Del resto non abbiamo riferimenti assoluti per misurare le variazioni del livello del mare (movimenti eustatici), poiché anche la crosta terrestre si muove. Si dovrà parlare quindi di innalzamenti e di abbassamenti relativi.
In condizioni di equilibrio idrogeologico, il bilancio netto è nullo: da un anno all’altro la spiaggia non avanza, né recede; se però un fattore di controllo del sistema cambia, ad opera della subsidenza, del clima o dell’uomo, si instaura una tendenza sistematica all’erosione o all’accrescimento. Se ad esempio, la velocità di subsidenza è tale da prevalere sulla velocità di accumulo dei sedimenti, si ha la sommersione e la costa arretra.
Il lento, progressivo sprofondamento, interpretabile alla luce della tettonica globale (a zolle crustali), è da alcuni riconducibile a momenti diversi di uno stesso meccanismo: le variazioni tettono-eustatiche in rapporto alla velocità di espansione del fondo marino lungo una dorsale oceanica, di cui il rifting rappresenta la prima fase.
In questa contingenza, con elevate velocità di distensione, grandi volumi del fondo marino rigonfiano per l’immediato rilascio di calore dall’interno ed il livello del mare si innalza.
C’è anche da considerare che la crosta si stira e si assottiglia e l’altezza delle terre emerse diminuisce. La riduzione di spessore causa elevati gradienti geotermici (poiché una stessa quantità di calore continua a fluire attraverso una crosta più sottile), specie se il fossato tettonico che ne scaturisce (graben) è posto sopra le correnti calde ascensionali del mantello. Da qui certe manifestazioni come i vulcani e le sorgenti calde ed il rigonfiamento, per dilatazione termica, della crosta assottigliata.
La penisola calabrese, grazie all’apertura del Tirreno, è protesa sull’orlo della fossa ionica, con la saldatura degli Iblei e, sul margine della fossa tirrenica, con l’arco vulcanico delle Eolie.
La fascia dove avverrebbe il sottoscorrimento (piano di Benioff) del pavimento oceanico, viene chiamata zona di subduzione ed è da questo insieme di osservazioni che è nata l’ipotesi di correnti di convezione subcrustali che trascinerebbero verso il basso, da una parte il fondale marino e, dall’altra, i terreni sedimentari e la crosta dell’arco calabro-peloritano.
Segue la seconda fase di subsidenza crustale per carico di sedimenti. Le zone alte ai bordi del fossato tettonico vengono erose e il fondo evolve come un bacino sedimentario dove vi è un accumulo progressivo di grandi spessori di sedimenti. A causa dei fenomeni di isostasìa il peso stesso dei depositi nell’area di geosinclinale, tende a far abbassare il fondo del bacino, dando luogo alla subsidenza.
Il fenomeno permette di spiegare l’accumulo di potentissime serie di sedimenti (prisma sedimentario) che mostrano la stessa litofacies. Frequentissime sono infatti in Calabria successioni di rocce sedimentarie che hanno spessori di centinaia (e altrove anche di migliaia di metri), in cui ogni singolo strato, sia il più alto che il più basso, denunciano, per il ricco contenuto fossilifero, condizioni di mare poco profondo, più o meno sempre allo stesso livello.
Siccome la potenza di questi pacchi di roccia è di varie centinaia di metri, ne consegue che, mentre le varie stratificazioni si andavano accumulando l’una sull’altra, necessariamente doveva verificarsi un abbassamento del terreno, anno dopo anno, centimetro su centimetro, tale comunque, da permettere il costipamento e l’impilamento del deposito. Esempi ci vengono offerti dalle potenti coltri alluvionali che si accumulano in corrispondenza di alcune foci fluviali e, in effetti, alcune aree deltizie, come quella del Crati, nella Piana di Sibari, sono in forte abbassamento.
Il peso dei materiali erosi dal margine continentale però da solo non basta a giustificare lo sprofondamento nell’area di geosinclinale; si deve perciò pensare, in accordo con altri fenomeni della tettonica a placche, che la crosta al margine dei continenti, venga deformata e appiattita dal basso mediante (supposti) processi di trasferimento, sotto le aree continentali, di materiale subcrustale, ad opera del mantello. Verificandosi così la subsidenza, prende origine una reazione a catena rappresentata dal riempimento sedimentario e dal sovraccarico (a causa del continuo apporto di materiale strappato dalle zone emerse, per alleggerimento isostatico, aggredite dagli agenti atmosferici).
Ma poiché la vita di una fossa tettonica è breve (raramente supera poche decine di milioni di anni), la fase di stiramento, che ha generato l’apertura del mar Tirreno, evolve verso condizioni di stabilità e, man mano che si smorza lo stiramento, si attenua anche la dilatazione termica.
Non appena inizia la fase di rilassamento, la crosta si raffredda e si contrae. ha inizio così la terza fase detta di subsidenza termica (come nel caso del Mar Morto, dove il fossato tettonico, pieno di sedimenti, si abbassa per contrazione crostale e scende al di sotto del livello del mare a - 395 metri). Analogamente, man mano che ci si allontana dalla dorsale sottomarina dove si è formata, la crosta si raffredda e la sua profondità, nel tempo, aumenta in modo esponenziale.
Esiste infatti, una relazione che lega profondità (P) ed età (E) ) [P =Ö E ] e poiché quindi, l’entità della subsidenza è funzione del tempo ricavabile dalla curva esponenziale, basta conoscere l’età della crosta per risalire alla profondità che aveva in un dato momento (è stato calcolato che, in 70 milioni di anni, la crosta oceanica, allontanandosi dalla dorsale, si abbassa di circa 3000 metri).
Lo stesso meccanismo si verifica nella formazione degli atolli avvalorando l’ipotesi darwiniana. In tal caso, la subsidenza degli isolotti (generati dagli hot-spots) è dovuta, oltre che al raffreddamento ed alla contrazione delle lave, anche al peso dell’apparato vulcanico (che spesso si eleva da fondali di circa -5000 metri).
Negli atolli di Eniwetok e di Bikini - scelti come terreno di prova delle bombe atomiche e termonucleari - le perforazioni effettuate hanno dimostrato l’esistenza di roccia di scogliera corallina fino a profondità comprese fra -800 e -1500 metri. Sapendo che i coralli non prosperano superando i 100 metri di profondità, bisogna ammettere una subsidenza davvero notevole.
I fenomeni fin qui esposti sono comunque molto lenti, distribuiti in tempi millenari, tranne la subsidenza dei bacini sedimentari che, unitamente alle oscillazioni del suolo legate a fenomeni tettonici, induce modificazioni in tempi brevi. Fra gli esempi più noti vi è quello della costa adriatica fra Venezia e Ravenna, in particolare nella zona del delta del Po.
Il lento abbassamento di questa regione (in media circa 4 mm/anno) è dovuto per una certa parte a cause naturali quali la dinamica crostale ed il costipamento dei materiali alluvionali deposti dal Po. In questa zona, infatti, si è registrato un abbassamento di diverse decine di centimetri in meno di un secolo (30 cm a Rimini, 80 cm a Ravenna, 170 cm ad Ariano Polesine) e addirittura, per alcuni tratti costieri, i periodici rilevamenti geodetici, hanno evidenziato un processo di subsidenza di diversi centimetri all’anno; ma qui entrano in gioco cause artificiali, dovute all’intervento dell’uomo, quali, l’estrazione del metano da pozzi che attingono a livelli poco profondi o l’emungimento d’acqua per uso industriali (come il pompaggio dell’ acqua per la zona di Mestre - Porto Marghera)
In merito alle oscillazioni eustatiche del livello marino, v’è da osservare che, esaurita l’ultima fase glaciale, la parziale fusione dei ghiacci ha elevato il livello del mare anche di 120 metri.
Ma l’ingressione del mare sulle terre emerse (trasgressione postglaciale), con conseguente arretramento della linea di costa, non è stata continua e regolare, ma è avvenuta con fasi più o meno attive, alternate ad episodi di stasi o addirittura, di parziale regressione. Inoltre il ritmo di innalzamento del livello marino si è andato smorzando nel tempo: nei 20.000 anni successivi alla glaciazione wurmiana (la più lunga e la più intensa), la media può essere stata di circa 60 cm al secolo, con punte massime di 350 cm/secolo, ma varie prove, fra cui le testimonianze archeologiche, dimostrano che negli ultimi 7000 anni la media deve essersi aggirata intorno agli 11 cm/secolo, cioè circa 1,1 mm/anno; valore questo, che corrisponde all’innalzamento medio del livello marino registrato negli ultimi decenni, in varie parti del mondo (forse per l’effetto serra) ?.
Nel nostro Mediterraneo, attualmente si registra un innalzamento di circa 1,6 mm/anno, ma tale valore, leggermente più elevato della media di tutti i mari della terra, è dovuto al fatto che alcune zone costiere italiane sono in fase di abbassamento come ad esempio, si registra lungo il litorale di Napoli e nella laguna di Venezia, dove, è stato accertato un innalzamento del livello del mare di 3-4 mm/anno. La particolare subsidenza di questa ultima zona, è spiegabile però, come si è già detto, con l’estrazione di fluidi dal sottosuolo e si ripercuote annualmente sul noto fenomeno dell’acqua alta. Durante il flusso di marea e magari, vieppiù accentuate dal concorso dei venti sciroccali, qui si sfiorano punte che superano gli 80 cm: il più elevato valore di alta marea dell’intero bacino del Mediterraneo !
Negli ultimi anni però, ad onor del vero, sembra essersi arrestato, o quanto meno rallentato, l’abbassamento di Venezia, mentre al contrario, Ravenna appare seriamente compromessa. Esiste l’effettiva minaccia, se non si corre subito ai ripari, che la splendida città romagnola subisca una fine analoga a quella della città greco-etrusca di Spina, completamente sommersa dalle acque della Laguna di Comacchio, a 7-8 m. sotto l’attuale piano di campagna !
A queste cause modificatrici dei litorali sono pure da aggiungere altri fattori naturali, anch’essi estremamente importanti, come: le caratteristiche geomorfologiche dei vari settori costieri e dei territori ad essi retrostanti, le condizioni climatiche, le portate liquide e solide dei corsi d’acqua, il trasporto dei materiali lungo la riva ad opera del mare (long-current shore).
Fra tutti però predomina l’intervento antropico che in maniera sempre più rapida e massiccia minaccia sia singoli settori costieri, sia le aree immediatamente retrostanti e i bacini dei corsi d’acqua che vi sfociano.
Gli interventi dell’uomo non solo modificano le condizioni di equilibrio naturale delle spiagge, ma ne accelerano, o addirittura ne invertono, i processi di accrescimento o di riduzione, alterando profondamente le naturali tendenze evolutive.
Le variazioni climatiche ad esempio, possono influire sull’equilibrio dei litorali, sia con le modificazioni della quantità e del regime delle piogge, sia con il mutamento delle caratteristiche anemometriche. Perciò, un sensibile aumento delle precipitazioni produce una intensificazione dei processi erosivi e quindi, un maggior apporto di materiali da parte dei fiumi (ripascimento), a cui corrisponde un protendimento delle spiagge. Mentre al contrario, venti che assumono direzioni e velocità tali da provocare mareggiate più frequenti e intense su un determinato settore costiero, causano l’accentuazione dell’ abrasione marina e la riduzione delle spiagge.
Sul litorale tirrenico calabrese, il 70% della costa bassa e sabbiosa ha, in vari tratti, eliminato la spiaggia. Il fenomeno è però dovuto all’intervento antropico che ha causato l’erosione della costa. La costruzione di opere marittime ha modificato il moto ondoso e quello delle correnti litoranee, provocando intensi fenomeni erosivi e arretramento della fascia costiera. Responsabile è anche la riduzione degli apporti solidi a mare, operata dai corsi d’acqua e addebitabile a diversi tipi di manomissione fra i quali: l’estrazione di sabbie e ghiaie dagli alvei, la costruzione di dighe e sbarramenti, le innaturali arginature e le altre opere di difesa delle sponde fluviali, il restringimento degli alvei, la irrazionale sistemazione dei bacini montani, la costruzione di manufatti realizzati per l’uso urbano, industriale e turistico delle aree costiere, come i moli e i porticcioli, i frangiflutti, i pennelli e le scogliere artificiali, ecc.
Nè bisogna dimenticare i sovraccarichi derivanti dalle esagerate dimensioni e dal gran numero di costruzioni per scopi turistici che, oltre ad aggravare il fabbisogno idrico, concorrono al costipamento ed all’abbassamento delle falde acquifere superficiali, già fortemente compromesse dalle opere di bonifica idraulica, intese a recuperare all’agricoltura, zone litoranee, un tempo paludose.
Con ciò non si vuole concludere che si deve rinunciare ad una utilizzazione dei litorali, ma solo che è necessaria una loro più corretta destinazione.
A tal fine, nello sviluppo urbano, industriale o turistico, occorre tenere conto dello stato di equilibrio dinamico in cui si trovano vari settori della costa e servono altresì adeguati strumenti legislativi orientati verso una politica di sviluppo ecocompatibile !